Con
“eco-ismo”, intendo quella forma di “sano egoismo”, di cui parlava anche San
Francesco, che non sia chiuso, nevrotico, rigido, paranoico, raggelato,
calcolatore, prevaricatore, arrogante, stantio, schizzato, separato, scisso, ma
che sia schietto, aperto, cordiale, amichevole, rilassato, pacato perché forte,
ricco, fluido, generoso, sovrabbondante, connesso con la Natura, con il mondo e
con gli altri, vulcanico di umorismo, amore e allegria (e tutte le altre
emozioni possibili) - che sia teatrante improvvisatore anarchico continuamente
in preda allo stupore e alla fantasia, e non inerte androide robotico svuotato,
desertico, cinico, rachitico e tirchio.
Un
“ego-ismo” in cui il Sé che si afferma, che si va espandendo propulsivamente
ardentemente telluricamente incendiariamente eruttando pirotecnicamente come
Stella Danzante e Attore Sovrano sulla Gran Scena del Mondo, sia un “ego
profumato”, e non marcio e putrefatto, sia un Sé che faccia una sola cosa con
la Scena stessa del Mondo, con la Natura e con gli Altri: stimolo-reazione,
senza starci tanto a pensare, in un flusso rilassato e spontaneo di irriflessa,
gagliarda, istintiva, diretta, potente, semplice, vulcanica, selvatica,
terrigna, concreta, fisica, tattile, corporea, animale, fiera, indomita
affermatività combattività anarchica che sia nuda POTENZA, nuda VITA che si
manifesta in tutta la sua multiforme, cangiante, polimorfica, policefala, prospera,
paradossale, micidiale stra-potente apocalittica ricchezza di CAOS pulsante,
che scardina ogni schema precostituito, in un eterno PANTA REI innocente,
continuamente inedito nuovo e imprevedibile.
Un’affermazione
che sia FUSIONE con il Mondo stesso: l’eco-ismo è il sano egoismo dell’Ecologia
Profonda.
Né egoisti
né altruisti, “lupiangeli”, saremo così, rousseauianamente, dediti come animali
irsuti zannuti immediati diretti onesti forti sani impavidi compassionevoli
empatici, all’ “amor di sé”, naturale difesa di sé e della propria vita e di
quella delle persone che amiamo, naturale affermazione di sé per soddisfare i
propri bisogni autentici, naturale combattività “fiera e indigesta” per far
esprimere e primeggiare i propri
talenti. Ma non possessivo, maniacale, alienato “amor proprio”, malattia
accumulativa in cui la vita si spegne per cedere spazio al possesso.
La
sensibilità positiva deriva immediatamente dall’amore di sé. È naturale che
colui che si ama cerchi di estendere il suo essere e i suoi godimenti e di
appropriarsi, coi legami affettivi, di ciò che egli sente possa essere per lui
un bene. … Ma non appena questo amore assoluto degenera in amor proprio, e in
rivalità comparativa, ecco che produce la sensibilità negativa; appena,
infatti, si prende l’abitudine di misurarsi con altri ed uscire da se stessi
per assegnarsi il primo e il miglior posto, è impossibile non provare
avversione per tutto ciò che … ci impedisce di essere tutto.
(J.-J. Rousseau, Dialogues,
II, O.C., I, pp. 806-807 ; trad. it. S.A.,
pp. 898-899)
In realtà,
più avanti nel testo, Rousseau distingue tra una competitività, rivalità sociale
sana e naturale, quella dei primi popoli, dei popoli tribali, in cui gli
individui, all’interno di una solidarietà, lealtà, amichevolezza e compattezza
di base della comunità, rivaleggiano benevolmente in quanto a forza, abilità
nel cacciare o nel danzare, nel valore guerriero, in bellezza, saggezza,
abilità varie (e anche doti spirituali-sensitive, aggiungerei io) coraggio
capacità di costruire dei bei manufatti, utili e gradevoli alla vista e agli
altri sensi, e dico io, anche probabilmente: capacità di gestire i conflitti,
di non alterarsi di fronte a una facile offesa, di favorire lo spirito di
unione del gruppo, di soccorrere e favorire i più deboli, di curare, raccontare
storie, tramandare insegnamenti, cantare, divinare, profetizzare, amare, sognare,
ridere ed essere amici di tante persone, spiriti, animali minerali e piante.
E dall’altra
la competitività dell’ “amor proprio”: feroce, spietata rivalità cinica e
nichilista, in cui si tenta disperatamente, con ogni mezzo necessario, di
accumulare, di avere sempre di più, di avere tutto. Non di essere più felici,
di stare meglio o soddisfare i nostri bisogni autentici, ma di possedere di
più, sempre di più, possedere tutto, fregandolo agli altri. Fregando e
fregandosene dei nostri fratelli.
Nietszchanamente:
l’essere umano deve superare le tre metamorfosi: superare il Cammello, il modello
del perdente cristiano che si fa carico sulla propria gobba di tutta la
pesantezza della vita.
Allora
diventerà il Guerriero.
Il valoroso
eroe pagano, imperioso coraggioso e potente, senza paura alcuna, forte e
granitico come una Statua divina, invincibile, indomabile, fiero e trionfante
nella potenza della riaffermazione degli antichi valori guerrieri.
Ma infine,
l’essere umano dovrà superare anche il Guerriero, e compiere la terza
Metamorfosi.
Divenire
Fanciullo, fanciullo cosmico, puro libero spirito enigmatico, precedente a
qualsiasi determinazione, definizione, schema, modello, dover essere,
costrizione, filtro, etichetta, racconto interpretativo: tabula rasa gnoseologicamente
innocente, capace di stupirsi ad ogni istante dell’eterna sorgente sempre
limpida, irripetibile e fresca del divenire.
l’innocenza
del divenire-
L'uomo ordinario pensa: ‘Io sono
ignorante’, ‘Sono incatenato dal karman’, ‘Sono impuro’, ‘Sono determinato
dagli altri’ e così via, e l’inversione di questo pensiero porta alla
realizzazione di Śiva.
Abhinavagupta
Interessante articolo, grazie! Ma direi anche troppo denso...
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