Flauti di
convolvoli
arabescano
spettrali
le fiabesche
ditirambiche
oceaniche,
lunari
nozze
mistiche terrifiche
benedette
dagli strali
della cupa
meteora lavica
che confonde
i rossi altari
deflagrando
l’enigmistica
convitando i
nucleari
enucleando
l’insiemistica
addizionando
strane ali.
Corre
inquieto il cosmicomico
demone santo
ricolmo d’amore rosso cupo,
vermiglio
miope,
sacro ai
tarli,
corre corre
a più non posso,
se ne fotte,
salta il
fosso
e dov’è la
metrica,
dove la rima
l’ho
intravista stamattina
si
rallegrava bellamente delle sue conquiste fossile
inalberando
ogni schiera residua
di rantoli
viola soavemente cristici
inanellando
spirali aurorali di stralunante
concupiscenza
livida,
strafottente
bellimbusta ogni quesito tragisifulo
tra le trame
della foresta querula,
il letame
degli assassini ripidi,
tra le ombre
della fiera sera nera,
tra il non
detto del notturno,
tra le righe
delle pieghe
assurdamente invisibili
incalcolabilmente
oscure,
tetramente
limpide
enigmaticamente
vuote,
serenamente
inesistenti.
Ecco il
senso:
ho mal di
denti.
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