Avete
presente il metal?
Ascoltavate
metal, da adolescenti?
Lo ascoltate
ancora?
No?
Non è
importante.
Dicevo:
avete presente il metal?
Ecco. Ora
togliete a ciò che state pensando tutti gli stereotipi relativi a maniera di
vestire, lunghezza dei capelli, necessità di mostrarsi sempre a tutti i costi “cattivi”,
ribelli a priori, truci e “duri”.
Togliete
adesso alla vostra idea, anche ogni canone musicale predefinito: perfino quello
- il più elementare: ciò che definisce il genere - secondo cui un album per
essere metal, debba essere composto, per la maggior parte, da pezzi costituiti,
primariamente, da potenti riff ossessi e selvagge schitarrate.
Tutte cose
che personalmente apprezzo ancora molto, ma adesso, eliminate tutto ciò dalla
vostra Idea.
Cosa rimane?
Nulla.
O forse,
questo disco.
Metal per
spirito, più che per genere.
Rimane
l’effetto che fa l’ascolto di questo album, e cioè, proprio quell’inquietudine,
quella sospensione nell’inquietudine, nel meraviglioso, in “oasi di angoscia”
(Baudelaire), Templi di Orrore (Lovecraft), in arcani stupori sovrannaturali
atemporali, che sperimentavate quando ascoltavate dischi metal da adolescenti;
soprattutto, le prime volte che ascoltaste dischi metal.
Inquietudine
e meraviglia nelle quali si realizzò il passaggio, la mutazione dai prodigiosi,
portentosi, magici, sognanti, incantati, fantastici ma pur sempre circoscritti
Universi di Fantasia e Favola dell’infanzia (non sprovvisti affatto, anch’essi,
di oscurità, mistero, enigmi esistenziali, interrogativi metafisici, inquietudini,
ricerca di senso, scoperte filosofiche, rebus simbolici e terrori ancestrali,
ma comunque bisognosi, per loro natura, di un Cosmo protettivo, ordinato,
sensato, comprensibile – tanto nella dimensione visibile, materiale, quanto in
quella invisibile dell’immaginazione) ai grandiosi, bui, tremendi mari aperti
in tempesta, vuoti spazi siderali infiniti dell’adolescenza, dove ha vita il
Mito (nei quali il Protagonista, l’Eroe dai Mille Volti, s’avventura, ridente e
coraggioso, oppure oscuramente angosciato, ma comunque ansioso di Conoscenza).
Il Rituale
che evoca questo mondo di Mito è amministrato da questa Sacerdotessa del Dionisismo
epico, la cantante, che fluisce, saetta e scatta etericamente, fantasmaticamente,
oniricamente, esotericamente, agilmente, elegantemente, potentemente,
portentosamente, divinamente, oscuramente, luminescentemente dai più acuti e
lievi gorgoglii flautati tintinnanti soavi fatati stregati appena sussurrati,
alla più piena e possente voce corposa, monumentale, titanica, vibrante, alata,
limpida e tersa da cantante lirica, che affronta le impennate, i decolli, le
traversate, i più ardui inerpicamenti e le più azzardate picchiate della
melodia con un canto metamorfico, eroico, avventuroso, fiero, trasmutativo ma
profondamente calmo, stabile – a marmorei istanti fulgidi del fuoco sacro cristallino dei suoi limpidi gorgheggi gospel - alle parti di
cantato non lirico, rock, in cui la composta classe della Sibilla cupa ombrosa casta
sognante e misteriosa comincia a serpeggiare e dardeggiare come velenosa spada
infuocata, come folgore lampeggiante in rivolta che scuote le tenebre alle
fondamenta, in un crescendo tellurico/celeste da terrifica battaglia finale del
Ragnarok - fino ad esplodere nei rari ma inquietamente, deflagrantemente
sovrumani attimi in cui il canto elegante si squarcia e si trasfigura in urla
di inumana feroce barbarie trascendente, eruzione abbacinante di scintille di
luce metafisica, connettendo Diva Sciamana Pizia lunare possentemente
evocatrice Dimensioni arcane e Reami impossibili.
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