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(dettaglio di un mio dipinto)

giovedì 13 aprile 2017

Il metal della Sibilla (recensione di Corpo-Mente, "Corpo-Mente")












Avete presente il metal?

Ascoltavate metal, da adolescenti?

Lo ascoltate ancora?

No?

Non è importante.

Dicevo: avete presente il metal?

Ecco. Ora togliete a ciò che state pensando tutti gli stereotipi relativi a maniera di vestire, lunghezza dei capelli, necessità di mostrarsi sempre a tutti i costi “cattivi”, ribelli a priori, truci e “duri”.

Togliete adesso alla vostra idea, anche ogni canone musicale predefinito: perfino quello - il più elementare: ciò che definisce il genere - secondo cui un album per essere metal, debba essere composto, per la maggior parte, da pezzi costituiti, primariamente, da potenti riff ossessi e selvagge schitarrate.

Tutte cose che personalmente apprezzo ancora molto, ma adesso, eliminate tutto ciò dalla vostra Idea.

Cosa rimane?

Nulla.

O forse, questo disco.

Metal per spirito, più che per genere.

Rimane l’effetto che fa l’ascolto di questo album, e cioè, proprio quell’inquietudine, quella sospensione nell’inquietudine, nel meraviglioso, in “oasi di angoscia” (Baudelaire), Templi di Orrore (Lovecraft), in arcani stupori sovrannaturali atemporali, che sperimentavate quando ascoltavate dischi metal da adolescenti; soprattutto, le prime volte che ascoltaste dischi metal.
Inquietudine e meraviglia nelle quali si realizzò il passaggio, la mutazione dai prodigiosi, portentosi, magici, sognanti, incantati, fantastici ma pur sempre circoscritti Universi di Fantasia e Favola dell’infanzia (non sprovvisti affatto, anch’essi, di oscurità, mistero, enigmi esistenziali, interrogativi metafisici, inquietudini, ricerca di senso, scoperte filosofiche, rebus simbolici e terrori ancestrali, ma comunque bisognosi, per loro natura, di un Cosmo protettivo, ordinato, sensato, comprensibile – tanto nella dimensione visibile, materiale, quanto in quella invisibile dell’immaginazione) ai grandiosi, bui, tremendi mari aperti in tempesta, vuoti spazi siderali infiniti dell’adolescenza, dove ha vita il Mito (nei quali il Protagonista, l’Eroe dai Mille Volti, s’avventura, ridente e coraggioso, oppure oscuramente angosciato, ma comunque ansioso  di Conoscenza).

Il Rituale che evoca questo mondo di Mito è amministrato da questa Sacerdotessa del Dionisismo epico, la cantante, che fluisce, saetta e scatta etericamente, fantasmaticamente, oniricamente, esotericamente, agilmente, elegantemente, potentemente, portentosamente, divinamente, oscuramente, luminescentemente dai più acuti e lievi gorgoglii flautati tintinnanti soavi fatati stregati appena sussurrati, alla più piena e possente voce corposa, monumentale, titanica, vibrante, alata, limpida e tersa da cantante lirica, che affronta le impennate, i decolli, le traversate, i più ardui inerpicamenti e le più azzardate picchiate della melodia con un canto metamorfico, eroico, avventuroso, fiero, trasmutativo ma profondamente calmo, stabile – a marmorei istanti fulgidi del fuoco sacro cristallino dei suoi limpidi gorgheggi gospel - alle parti di cantato non lirico, rock, in cui la composta classe della Sibilla cupa ombrosa casta sognante e misteriosa comincia a serpeggiare e dardeggiare come velenosa spada infuocata, come folgore lampeggiante in rivolta che scuote le tenebre alle fondamenta, in un crescendo tellurico/celeste da terrifica battaglia finale del Ragnarok - fino ad esplodere nei rari ma inquietamente, deflagrantemente sovrumani attimi in cui il canto elegante si squarcia e si trasfigura in urla di inumana feroce barbarie trascendente, eruzione abbacinante di scintille di luce metafisica, connettendo Diva Sciamana Pizia lunare possentemente evocatrice Dimensioni arcane e Reami impossibili.











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